Creare safe spaces: il senso dello spazio per ə survivor
- Gabriele Carmelo Rosato

- 6 days ago
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L’11 aprile 2024 sono intervenuto con grande piacere al ciclo di incontri “Esplorare i traumi: discriminazioni, narrazioni tossiche e spazi sicuri”, organizzato presso l’Università La Sapienza di Roma dal coordinamento universitario Link, dal collettivo LGBTQIA+ Prisma e dal collettivo transfemminista Taboo.
L’incontro è stato pensato come spazio di ascolto, confronto e presa di parola su temi delicati ma fondamentali: le esperienze dei survivor di abusi e violenze, la decostruzione di narrazioni tossiche e romantizzate, e il significato dello spazio – anche simbolico – per chi ha vissuto esperienze traumatiche. Il mio intervento, dal titolo “Creare safe spaces: il senso dello spazio per ə survivor”, è stato un dialogo a due voci con la scrittrice Francesca Svanera (autrice del progetto Se Lo Vuoi Sapere), e ha avuto come filo conduttore il concetto di casa.
Quando la casa non è un posto sicuro
Tendiamo a pensare alla casa come al luogo più sicuro che esista. Eppure, per chi è sopravvissuto a forme di abuso – specialmente domestico o intrafamiliare – la casa può essere un luogo complesso, contraddittorio, ambivalente. In molte testimonianze raccolte nel mio lavoro di ricerca, la casa viene spesso descritta sia come un rifugio sia come una prigione, memoria e ferita, desiderio e perdita.
Abbiamo parlato di questo: di quanto sia difficile per molte persone tornare a vivere pienamente il proprio corpo, il proprio spazio, i propri confini, dopo un trauma. Di come lo spazio domestico – o qualsiasi luogo percepito come “familiare” – possa riattivare vissuti di vulnerabilità, silenzio o costrizione.

Costruire safe space
Ma abbiamo parlato anche di quanto sia importante progettare – concretamente e simbolicamente – dei luoghi che siano adatti alle esigenze di persone traumatizzate: che rispettino la storia di chi li attraversa. Creare safe spaces non significa solo “mettere in sicurezza” quel luogo, ma anche abilitare gli abitanti: dare a ciascuno la possibilità di sentirsi a proprio agio, di esprimersi senza ripercussioni.
È stato emozionante poter dialogare in un ambiente attraversato da tanti studenti e studentesse, attivistə e giovani ricercatorə. L’energia che si è creata durante l’incontro ha confermato una certezza: i safe space non sono solo luoghi fisici, ma anche relazioni, alleanze, possibilità di nominare le cose. E, soprattutto, non sono un lusso, ma un diritto.