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“Il silenzio non protegge”: riflessioni da una giornata che ci riguarda tutte e tutti

  • Immagine del redattore: Gabriele Carmelo Rosato
    Gabriele Carmelo Rosato
  • 6 mag
  • Tempo di lettura: 3 min

Lunedì 5 maggio 2025 ho avuto il privilegio di intervenire al convegno “Il silenzio non protegge. L’abuso sessuale è un problema di tutti”, organizzato dalla Fondazione Sos Telefono Azzurro ETS presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Un’occasione istituzionale essenziale, ma ancora rara, in occasione della Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, per riportare l’attenzione su un tema che troppo spesso resta sommerso in quanto tabù.

Sono intervenuto con un contributo dedicato alla sicurezza degli spazi digitali: un concetto così attuale che sembra quasi arrivare in ritardo, e che merita di essere messo in discussione, interrogato, ripensato.



Sicurezza, in che senso?

Il cuore del mio intervento è stato un invito a spostare l'attenzione dalla domanda “Come possiamo rendere sicuri gli spazi digitali?” verso una più radicale quesito:“Sicuri, in che senso?”.

Perché la sicurezza non è mai neutra. È sempre il risultato di una negoziazione: tra ciò che vogliamo proteggere, ciò che temiamo e chi ha il potere di decidere.

Un ambiente che sembra sicuro dal punto di vista degli adulti o delle istituzioni può non esserlo affatto per adolescenti vulnerabili. La sicurezza non si costruisce solo con filtri, regolamenti o tecnologie: è soprattutto una questione di partecipazione..


Il digitale non è un altrove

I minori non vivono la dimensione digitale come qualcosa di separato dalla “vita reale”. La abitano, la usano per cercare relazioni, rifugi, forme di identità. In questi stessi spazi possono anche essere esposti a forme di violenza invisibile: manipolazione, isolamento, sextortion, linguaggi d’odio.

Se vogliamo parlare seriamente di safeguarding nel digitale, dobbiamo ripensare il web: non come un territorio da sorvegliare, ma come uno spazio da co-abitare con responsabilità.


Il valore delle domande scomode

Nel mio intervento ho scelto di non offrire soluzioni definitive, ma di sollevare domande. Domande che mi accompagnano anche nel percorso di ricerca con le persone sopravvissute ad abusi infantili.

Questi come questo:

Sappiamo davvero leggere il linguaggio dei più giovani, quando si esprime in emoji, meme, silenzi, disconnessioni?

Ho citato una scena della serie Netflix Adolescence, in cui il mancato riconoscimento del significato di alcune emoji da parte degli adulti ritarda la comprensione di un caso di abuso. Un dettaglio apparentemente banale, ma che rivela molto: non possiamo proteggere chi non capiamo.



La sicurezza è relazione

Porto a casa da questa giornata una conferma profonda: la sicurezza non è solo una questione tecnica e giuridica, ma etica e culturale. Richiede che cambiamo il nostro modo di ascoltare, di progettare, di abitare gli spazi insieme a chi è più vulnerabile.

Richiede che la società — ogni soggetto che la compone, anche me che scrivo e te che leggi — si assuma la responsabilità di rompere il silenzio e di trasformarlo in ascolto attivo, duraturo, reale.

La Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia non è solo un appuntamento di calendario. È un promemoria collettivo: l’abuso non è mai un problema privato. È un problema sociale, culturale, relazionale. E ci riguarda tutti e tutte.

E dal 2013 esiste in Italia un movimento dal basso che raccoglie questo impegno, giorno dopo giorno, insieme alle persone sopravvissute ad abusi e maltrattamenti infantili: si chiama Meti Onlus, e anche quest’anno ha lanciato una potente campagna di sensibilizzazione. Per questa edizione, il titolo è #NonFinisceQuandoFinisce, un invito forte a riflettere sulle conseguenze che un abuso sessuale in età infantile o adolescenziale porta con sé nella vita adulta.



 
 
 

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